Una famiglia contro l’Insonnia Fatale Familiare: la storia di Giovanni

Giovanni e la sua famiglia: una lotta generazionale contro l’insonnia fatale familiare, tra speranza e ricerca scientifica. Grazie al progetto sperimentale finanziato da Fondazione Telethon, si sono ottenuti risultati promettenti con un antibiotico che potrebbe rallentare la malattia.

La storia di Giovanni è la storia di una famiglia che vive in provincia di Venezia e da generazioni convive con una malattia terribile: l’insonnia fatale familiare. Una malattia da prioni, che colpisce una zona del cervello, il talamo, dove risiedono proprio alcune funzioni primarie come il sonno. Le malattie da prioni non si manifestano subito, ma diventano letali con il passare del tempo. L’insonnia fatale è una bomba a orologeria. Chi se la porta nel DNA vive sano fino a 45-55 anni. Una volta innescata, conduce però alla morte in un arco di tempo che va da un minimo di 6 mesi a un massimo di due anni.

Giovanni ha 56 anni e nonostante sia portatore della malattia e sia nella fascia di età in cui solitamente iniziano i sintomi, oggi sta bene. Ha avuto la diagnosi, quando suo padre Carlo era ancora vivo, ma aveva già iniziato a stare male. Dopo averlo saputo, Giovanni ha deciso di tenere la notizia per sé in un primo momento. La vedeva come un'ipotesi remota, perché sapeva che comunque la malattia si sarebbe potuta presentare dopo i 50 anni. Ha sempre avuto un approccio positivo, e continua ad averlo ancora oggi.

Il primo segno della malattia, proprio come dice il nome, è l’incapacità di dormire, una specie di coma vigile che non si può combattere con nessun sonnifero. Il padre di Giovanni non è l’unico della famiglia che l’Insonnia Fatale ha colpito.

Una sfida generazionale

Era il 1978, Giovanni aveva 11 anni e due suoi zii, fratelli del papà, iniziano ad avere improvvisamente difficoltà a dormire, ad avere comportamenti strani, ma nessuno capisce in che modo quei sintomi porteranno, nel giro di poco tempo, alla morte di entrambi.

Nel 1992 anche Carlo, come i suoi fratelli, inizia a manifestare disorientamento spazio-temporale, carenza di sonno, scarsa lucidità. Ma anche qui all’inizio nessuno capisce cosa gli stia capitando. A differenza degli altri componenti della famiglia, Carlo, dopo essere stato completamente annientato dalla malattia nel primo anno, è morto solo 8 anni dopo, restando per tutto il tempo in uno stato vegetativo.

Nel 1997 anche Teresa, figlia proprio di uno di quei due zii venuti a mancare in maniera strana, inizia a stare male. Anche lei in poco tempo perde la vita con gli stessi sintomi. La storia di Teresa però cambia tutto e porta l’intera famiglia ad una svolta. Ignazio Roiter, l’endocrinologo veneto che per primo ipotizzò che la mancanza di sonno in questi pazienti non fosse il sintomo della malattia, ma la causa di essa, viene infatti a conoscenza durante le sue ricerche proprio della storia di Teresa e mette insieme i pezzi.

"Per vent'anni abbiamo vissuto nel silenzio più totale. - racconta Giovanni - Solo quando mia cugina Teresa nel 1997 inizia ad avere gli stessi sintomi di mio padre e dei miei zii, finalmente la malattia della nostra famiglia ottiene un nome". Quelle morti, che tanto avevano scosso per la loro violenta manifestazione un’intera famiglia, hanno una causa. E conoscere il nome di una malattia è il primo passo per poterla affrontare.

Fra speranza e progetti sperimentali

Ad oggi per l’insonnia fatale famigliare non esiste una cura, ma nel 2010 Fondazione Telethon ha finanziato un progetto sperimentale della durata di dieci anni, conclusosi proprio ad ottobre 2024. Uno studio coordinato dal dottor Gianluigi Forloni dell’Istituto Mario Negri di Milano, con il coinvolgimento anche dell’Istituto Besta di Milano. Uno studio di carattere preventivo, mirato a capire se un antibiotico, possa rallentare o evitare la malattia in soggetti portatori. Per per poter trarre delle conclusioni sull’efficacia o meno del farmaco bisognerà attendere l’analisi di tutti i dati raccolti da parte dei ricercatori.

"Avere Telethon che crede nella ricerca, avere il dottor Forloni che crede nel progetto ha dato sostanza alla nostra speranza. In questi dieci anni un obiettivo è stato comunque raggiunto, perché già l’esistenza di un progetto dedicato alla nostra malattia è un passo avanti."

Giovanni

"Per noi è stata una boccata di ossigeno - racconta Giovanni - perché abbiamo visto una manifestazione di interesse nei nostri confronti. Quando abbiamo scoperto il nome della malattia e che cosa comportasse abbiamo riversato tutto nella speranza. La stessa speranza che anche adesso ci dà la forza di andare avanti, perché sappiamo che la cura arriverà, non nell'immediato, ma arriverà. Avere Telethon che crede nella ricerca, avere il dottor Forloni che crede nel progetto ha dato sostanza alla nostra speranza. In questi dieci anni un obiettivo è stato comunque raggiunto, perché già l’esistenza di un progetto dedicato alla nostra malattia è un passo avanti".

La pedalata della consapevolezza

Per dare visibilità al progetto sperimentale e alla sua conclusione, l'associazione AFIFF, creata da Ignazio Roiter, ha deciso di organizzare una pedalata di 2000km da Venezia fino a Bilbao, per ripercorrere la strada che, secondo le ricostruzioni di Roiter, fece proprio il primo paziente europeo con questa malattia nel Settecento, diffondendola nella penisola iberica.

A pedalare è stato Fabio, uno dei figli di Giovanni, seguito in camper da Giovanni e da Saverio, fratello di Fabio, che si è occupato degli aggiornamenti social. A fare il tifo per loro da casa mamma Monia e gli altri due figli di Giovanni, Alice e Davide.

"Speriamo che la nostra sia l'ultima generazione che dovrà combattere contro questa malattia" dice Fabio. Grazie alla diagnosi preimpianto, infatti, oggi è possibile accertarsi che l'embrione scelto non sia portatore della mutazione. Un passo in avanti nella ricerca, che permetterà di interrompere la catena della trasmissione per non dare continuità alla mutazione nelle generazioni successive della famiglia di Giovanni.

Il tuo browser non è più supportato da Microsoft, esegui l'upgrade a Microsoft Edge per visualizzare il sito.