Il ricercatore Andrea Ditadi dell'Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica suggerisce come sfruttare al meglio questo periodo di rallentamento forzato
«Di fronte al nuovo coronavirus si nota molto bene la febbrilità che provoca trovarsi di fronte all’ignoto. Tutte le persone hanno il desiderio di capire cosa sta succedendo, perché si diffonde in questo modo e come mai alcuni si ammalano più di altri: e giù a generare ipotesi, analizzare i dati, fare previsioni. Beh, l’ignoto è quello con cui uno scienziato si confronta ogni giorno, avere a che fare con ciò che non si sa è intrinseco della ricerca scientifica. Il desiderio di conoscenza che oggi tutti i cittadini comprensibilmente hanno è quello che anima quotidianamente il nostro lavoro, che ci ha spinti a sceglierlo e che ci fa andare avanti nonostante tutto».
Nonostante anche le restrizioni necessarie in questa fase per provare a contenere l’andamento dell’epidemia: lo sa bene Andrea Ditadi, che all’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica guida un gruppo di ricerca che studia i meccanismi con cui si forma il sangue in tutte le fasi della nostra vita, da quella embrionale a quella fetale, fino alla vita adulta.
L’emergenza sanitaria attuale ha costretto tutti i ricercatori a ridurre al minimo la propria attività e la presenza in laboratorio: si lavora a turno e a ritmo ridotto, limitandosi a portare avanti gli esperimenti già in corso, nel rispetto delle norme di sicurezza sulla distanza interpersonale e l’igiene.
«Questo rallentamento forzato – racconta Ditadi - è una buona occasione per dedicare tempo a guardare con più attenzione le analisi dei vecchi dati, ma anche all’aggiornamento e alle nuove idee, per dare spazio alla creatività.
Di fronte alla frenesia del mondo moderno, la ricerca sembra essere un’attività eversiva, composta anche di una buona dose di lentezza. La ricerca richiede tempo, pazienza, accettazione dei risultati negativi, perseveranza: elementi che stridono di fronte a malattie gravi e spesso incurabili come quelle di cui si occupa Fondazione Telethon, o un virus nuovo e sconosciuto come il COVID-19.
Lo vediamo proprio in questi giorni, la fretta di fornire risposte o ottenere un risultato è umanamente comprensibile, ma può portare a dichiarazioni affrettate. Anche da parte della comunità scientifica stessa, come è capitato nel caso della pubblicazione che sembrava indicare una maggiore capacità del coronavirus di persistere nell’ambiente, che è stata quasi immediatamente ritirata, non abbastanza in fretta però perché non fosse già sui giornali. Forse una delle lezioni che potremmo far nostre di fronte a questa situazione impostaci dal COVID-19 è che dovremmo imparare tutti ad ascoltare e non solo accontentarci di sentire e basta, a dedicare del tempo a capire per analizzare e farci un’opinione più consapevole». La consapevolezza è anche quella di quanto molte delle cure che abbiamo oggi – vaccini, farmaci, antibiotici per citarne solo alcuni – sono frutto di anni di ricerca e non vanno dati affatto per scontati.
L’obiettivo di Andrea Ditadi e del suo gruppo è andare a fondo dei meccanismi con cui si forma il sangue fin dalla vita embrionale, quando l’individuo non è che un pugno di cellule che possono trasformarsi in tutti i tessuti. Quali sono gli stimoli che indirizzano la cellula verso questo destino, che cosa differenzia il sangue dell’embrione, del feto e dell’adulto anche se l’aspetto di queste cellule è apparentemente identico, perché certi difetti genetici sono compatibili con la vita e altri no?
«Rispondere a queste domande - spiega Ditadi - potrebbe aiutarci un giorno a produrre artificialmente il sangue e i suoi elementi, senza dover dipendere soltanto dalle donazioni e soprattutto con la possibilità di conferire a queste cellule delle capacità in più, utili per curare malattie genetiche gravissime o alcuni tipi di tumore. Sembra paradossale, ma lo studio e l’analisi di malattie genetiche ci insegnano moltissime cose riguardo ai geni che sono fondamentali per determinati processi essenziali e ci presentano dei problemi biologici la cui soluzione potrebbe fornirci degli strumenti utilissimi per la loro cura. Per questo la ricerca non si può fermare, mai. Neanche di fronte a un virus sconosciuto. Anzi».