Il 6 aprile 2009 ha distrutto una città e oltre 300 vite. Ma anche cambiato la vita di tanti ricercatori, che all’improvviso si sono ritrovati senza un laboratorio, senza uno studio, con anni di lavoro e di esperimenti buttati al vento.
Annamaria Teti lavora presso il dipartimento di Medicina sperimentale dell’Università dell’Aquila, dove studia una rara e gravissima malattia genetica delle ossa, l’osteopetrosi.
Dopo il terremoto la struttura che ospitava il suo laboratorio ha retto, ma i muri di intramezzo hanno ceduto e così le tubature: impossibile renderlo nuovamente agibile prima di sei mesi.
Tutti i costosi reagenti conservati in freezer e gli animali da esperimento sono andati persi e, come se non bastasse, il gruppo di lavoro ha subito una vera e propria diaspora: a parte Annamaria, che vive a Roma e normalmente si reca all’Aquila in trasferta, quasi tutti gli altri ricercatori e studenti hanno perso la casa e hanno dovuto trovare un alloggio provvisorio chi sulla costa adriatica, chi a Roma dalle famiglie o da amici.
Ma la ricerca deve andare avanti e Annamaria non si perde d’animo: grazie alla solidarietà dei colleghi ottiene dei laboratori “in prestito” presso l’Ospedale Bambin Gesù e il Policlinico di Roma e organizza il lavoro del suo gruppo in parte a Roma e in parte a distanza.
Dopo un solo mese di fermo le attività di ricerca ripartono quasi al 100%, un vero record: la vita dei ricercatori riprende una parvenza di normalità, almeno da un punto di vista lavorativo.
Annamaria è fermamente convinta che tornare al bancone sia stato terapeutico e che la fatica di dividersi tra due laboratori e l’Università dell’Aquila (dove esami e lauree si svolgono regolarmente) è assolutamente ripagata. «Si tratta di svegliarsi la mattina e organizzare minuziosamente la giornata, per poter stare dietro a tutto».