Chissà che cosa penserebbe oggi Renato Dulbecco di questo rumore di sottofondo, di questo cianciare a vuoto, sul conflitto fra le generazioni e sulla necessità di dare spazio ai giovani. Lui, Renato Dulbecco da Catanzaro, non ha fatto altro nella sua vita, che spendersi per la qualità di chi veniva dopo.
Nella mia vita ho avuto tante fortune, incontri meravigliosi che mai avrei potuto immaginare, se la mia esistenza fosse stata banalmente normale. Fra questi incontri un posto speciale e indelebile lo occupa il premio Nobel più amato dagli italiani. Tutto grazie a Telethon, e a quella serie di coincidenze che permette di trovarsi nello stesso momento al posto giusto.
Eravamo entrambi in prima linea, nella maratona Telethon di dicembre 1999. Lui all'apice della popolarità, dopo la strepitosa, ineguagliabile apparizione e conduzione del festival di Sanremo, idea geniale di Fabio Fazio e della Rai di allora. Io all'epoca presidente nazionale della Uildm, l'Unione italiana lotta alla distrofia muscolare, che Telethon aveva portato in Italia grazie all'entusiasmo di Susanna Agnelli.
Ho già scritto di questo incontro speciale. Ma anche adesso, a distanza di tanto tempo, ricordo esattamente lo sguardo, la stretta di mano educata, lo schernirsi di fronte ai complimenti inevitabili, la dolcezza del sorriso, perfino la statura, così bassa da mettermi a mio agio, io che ero in sedia a rotelle e spesso, accanto agli organizzatori di allora (penso a Niccolò Contucci) mi sentivo davvero piccolo.
C'era, nell'aria già elettrica dello studio televisivo, una emozione forte, palpabile e la convinzione di vivere una situazione irripetibile, importante e feconda.
I temi sollevati da Dulbecco sono di un'attualità struggente e per certi aspetti dirompente. Il suo impegno per la ricerca è stato il più grande stimolo a un'intera generazione di giovani di enorme valore, che oggi rappresentano, non a caso, il fiore all'occhiello del nostro Paese. Senza Renato Dulbecco saremmo tutti più poveri, moralmente e scientificamente.
La modestia e l'acume vanno di pari passo e la lezione che ho sempre conservato del suo modo di porsi è quella della semplicità, del pudore, della tenacia, della forza delle idee, della moralità assoluta.
Sapeva parlare, con quell'italiano ormai di sapore anglosassone, e perciò privo di ridondanze, delle cose che conosceva come e meglio degli altri. In termini di comunicazione, da giornalista, mi affascinava la sua capacità di decodificare la terminologia scientifica senza cadere nella banale mediocrità degli effetti speciali.
Spogliava le cose difficili degli orpelli inutili, restituendo alle parole la forza delle idee vincenti. E' stato un campione nella vita, un esempio irripetibile, ma forse mai come adesso si può comprendere, anche nell'ambito di un bilancio che parte dalle cifre economiche e finanziarie, come sia importante, decisivo, avere dei punti di riferimento per orientare le coscienze, prima ancora dei portafogli. Senza quello spirito in più, oggi saremmo aridamente attenti solo a tirare una riga e contare le voci attive e passive di una contabilità sterile. Da lui abbiamo imparato ad amare la vita, anche quando è difficile comprenderla.
Articolo di Franco Bomprezzi pubblicato nel Bilancio di Missione della Fondazione Telethon 2011-12.