Dalla passione per il sistema immunitario a quella per le tecnologie di analisi del DNA più innovative, dalle nuove funzioni delle cellule immunitarie alle ricadute del loro studio su malattie genetiche rare e tumori. Il ricercatore Telethon Renato Ostuni racconta il suo lavoro e non solo.
A quarant’anni appena compiuti Renato Ostuni, responsabile dell’Unità di genomica del sistema immunitario innato dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) di Milano, è in un momento decisamente proficuo della sua carriera, e non solo.
A gennaio ha vinto per la seconda volta (fatto non comune), un importante finanziamento del Consiglio europeo della ricerca (ERC), pari a due milioni di euro in cinque anni. Sul fronte personale, invece, a giugno volerà alle Canarie per una sfida sorprendente: il Tenerife Blue Trail Ultra, una gara di corsa in montagna su un percorso di 102 km, con 5500 metri di dislivello. Due eventi che raccontano molto bene una delle caratteristiche principali di Ostuni: la determinazione.
«Nel lavoro ho sempre avuto le idee piuttosto chiare, sia sul tipo di laboratorio in cui volevo stare, che doveva essere di eccellenza internazionale, sia sul tipo di scienza che volevo fare» racconta il ricercatore. «Mi ha sempre affascinato la complessità del sistema immunitario. Fin dal dottorato, però, ho capito che per meglio capire le proprietà delle cellule immunitarie, era necessario identificare i meccanismi che regolano i geni coinvolti nel loro funzionamento. Un aspetto che quindici anni fa erano in pochi a studiare». E che Ostuni si è trovato ad approfondire proprio in Italia. «Da studente ero convinto che sarei andato all’estero, e ho valutato varie possibilità, ma alla fine l’eccellenza che cercavo era qui».
Dopo gli studi all’Università di Milano Bicocca e prima di arrivare all’SR-Tiget, Ostuni è approdato per un periodo all’Istituto europeo di oncologia (IEO) di Milano, in uno dei pochi laboratori al mondo in cui si applicavano nuove tecnologie di analisi del DNA alle cellule del sistema immunitario. «Il primo periodo è stato durissimo: venivo da esperimenti di immunologia classica e dovevo invece occuparmi dell’interpretazione dei dati di sequenziamento del DNA. In una parola, di bioinformatica. Ho dovuto imparare da zero un nuovo linguaggio e a confrontarmi con chi, non essendo immunologo di formazione, ragionava in modi e con termini differenti da quelli a cui ero abituato. È stata un’esperienza fondamentale perché mi ha permesso di apprezzare le potenzialità di quel tipo di approccio».
Anche grazie a queste tecnologie negli ultimi anni sono stati chiariti molti nuovi aspetti del sistema immunitario. Ostuni in particolare si occupa di quello innato, un insieme di cellule che funzionano come prima linea di difesa dell’organismo contro virus, batteri e altri patogeni, non particolarmente specifica. «Si chiama così perché le sue cellule sono presenti nella loro forma finale già alla nascita, mentre le cellule del sistema immunitario adattativo, come i linfociti, maturano progressivamente durante la vita» spiega il ricercatore, che è anche professore di istologia all’Università Vita-Salute del San Raffaele. «Di recente però si è scoperto che le cellule immunitarie innate non svolgono solo un ruolo di protezione contro i patogeni (e contro le cellule tumorali, almeno nelle prime fasi del loro sviluppo). Ora sappiamo che hanno anche funzioni non immunitarie come controllare lo sviluppo e la rigenerazione dei tessuti e la formazione degli organi. Vale per esempio per i macrofagi, le cellule che studiamo di più, che hanno un ruolo importante nello sviluppo del cervello, nel riciclo del ferro a livello della milza e nella rigenerazione dei tessuti dopo un danno. Una competenza che potrebbe essere sfruttata per lo sviluppo di nuove terapie per malattie genetiche rare e tumori».
Studiare in dettaglio le cellule immunitarie è fondamentale per le malattie genetiche rare per almeno due motivi. «In primo luogo, perché ci sono malattie – come le immunodeficienze – causate proprio da malfunzionamento di queste cellule. In secondo luogo, perché, indipendentemente dall’impatto sul sistema immunitario, molte malattie genetiche sono caratterizzate da danni a vari tipi di tessuti, per esempio cerebrale, muscolare o epatico. Capire in che modo i macrofagi potrebbero essere usati per la rigenerazione dei tessuti potrebbe quindi essere importante a scopo terapeutico».
Senza dimenticare il possibile impatto anche in ambito oncologico, per il quale Ostuni ha ricevuto i due finanziamenti ERC. «Abbiamo scoperto un sottogruppo di macrofagi in grado di amplificare uno stato infiammatorio che promuove la crescita del tumore del pancreas. Ora cercheremo di riprogrammare geneticamente questi macrofagi in modo da favorire la risposta immunitaria contro il tumore». Per farlo, il gruppo di Ostuni punta a studiare il comportamento di questi macrofagi nel loro “habitat naturale”, cioè il tessuto tumorale, attraverso tecnologie che permettono di indagare le caratteristiche molecolari di migliaia di cellule, studiate però una per una.
Siamo a livelli incredibili di complessità: difficile pensare che Ostuni riesca a occuparsi anche di altro, ma in realtà il ricercatore ha almeno due strategie per non essere assorbito completamente dal lavoro. La prima è la corsa in montagna: «Poiché richiede grande concentrazione per me è quasi una forma di meditazione: corro contando i passi o i respiri e così non penso ad altro». E chissà quanto ha contato durante la preparazione della gara di Tenerife, considerato che solo in questi primi mesi del 2023 ha corso per 1400 chilometri. La seconda strategia è la musica, una passione nata da ragazzo. «Alle medie - racconta - ero “cintura nera” di flauto dolce, sono anche arrivato al terzo posto in un concorso internazionale. Poi sono passato alla chitarra, che suonavo in Chiesa». Ma dai canti religiosi a metal e rock il passo è stato breve, e sono proprio questi gli stili che Ostuni propone con la band di cui fa parte: i Base editors, tutta composta da scienziate e scienziati dell’SR-Tiget. «Un modo per stare insieme condividendo un’altra passione al di là della scienza». Che comunque rimane sempre presente, con il nome del gruppo che fa riferimento a una nuova tecnologia di editing genetico, che permette di intervenire direttamente su singole “lettere” di DNA.