«Ho una data impressa nella mia mente. Venerdì 18 dicembre 2015». Rispetto a molte persone che faticano a ricordare anche semplicemente il compleanno dei propri genitori o dei propri partner, il fatto che Federico Russo, voce di punta di Radio Deejay e volto di molti programmi televisivi, conservi una memoria così vivida e precisa del suo primo contatto diretto con Telethon, è significativo della sensibilità e del coinvolgimento che anima il suo rapporto con la Fondazione.
«Ricevetti la proposta di prender parte alla maratona televisiva e accettai subito. Ma l’esperienza più gratificante avvenne nel backstage, dove ho avuto modo di apprezzare il lavoro delle tante persone che permettono a Fondazione Telethon di raggiungere i risultati che sappiamo e dove, soprattutto, ho conosciuto persone che mi hanno trasmesso una energia incommensurabile».
Oggi sei coinvolto in prima persona nella campagna #Andarelontano, che rappresenta un po’ il viaggio che le persone che si confrontano con una malattia genetica, soprattutto i più piccoli intraprendono verso la realizzazione dei propri sogni, nonostante le difficoltà. Che valore ha per te questo concetto?
Per me andare lontano significa darsi, ogni giorno, un traguardo che va, anche solo un pelo, oltre l’ultimo obiettivo raggiunto. Un viaggio a tappe, per gradi, che può implicare anche solo piccoli passi, avanzamenti a volte incerti, battute d’arresto, ma sempre con lo sguardo rivolto verso la meta successiva. Pazienza e ostinazione, in tutti i campi. E poi, a mio avviso, il segreto è quello di godersi il viaggio, con tutte le difficoltà che questo cammino può comportare, facendo tesoro di ogni esperienza. La barchetta di Telethon fa proprio questo, solca le acque, attenta a calibrare le forze, ma procede, anche se le onde sono un po’ più alte del previsto. Nessuna fretta di bruciare le tappe, ma all’insegna della fiducia che il giorno successivo si riesca a compiere un passo in più del giorno prima.
C’è un elemento in Telethon e, in generale, nella tua esperienza accanto alla Fondazione, che secondo te merita di essere messo in luce?
La preparazione e la disponibilità delle persone che ci lavorano e le storie, storie di speranza, sempre connotate da un forte elemento positivo, che è bello raccontare. Ricordo ancora che nel corso di quella lunga maratona televisiva, nel 2015, ho toccato con mano dove può arrivare la Fondazione, come lavora. Poi ho conosciuto tanti pazienti e le loro famiglie. È normale che non si abbia la piena consapevolezza di quali difficoltà alcune persone possano incontrare quotidianamente. Io, posso dire, ho avuto il privilegio di vivere queste storie da vicino e di ricevere da queste vicende umane una riserva di forza che ancora mi accompagna.
Hai avuto la possibilità di un incontro molto ravvicinato con Telethon che ti ha aperto le porte verso questo mondo. Se dovessi convincere una persona ad impegnarsi per la Fondazione, da uomo di comunicazione, cosa gli diresti?
Prima di tutto, di informarsi. L’ho provato in prima persona. Quando le cose le vedi da vicino ovviamente è un’altra cosa, ma ci sono tanti modi per conoscere Telethon. Quindi, consiglierei ad un potenziale sostenitore di capire che cosa le persone di Telethon fanno, di leggere e conoscere le storie dei pazienti sostenuti dall’opera continua di tanti ricercatori, e il resto arriva sicuramente di conseguenza.
Che valore dai alla ricerca scientifica?
Devo dire immenso, anche se non ci capisco nulla (ride ndr). Sono felice che la ricerca, e la scienza, siano in mano a persone competenti e preparate. Rappresenta la via verso la guarigione per migliaia di persone. I suoi progressi sono la nostra vita. Ho conosciuto storie di giovani ricercatori che si sono completamente dedicati a questo, e che con la loro attività e il loro impegno costante riescono a fare la differenza per tante persone. Per questo dobbiamo sostenere la ricerca. Dobbiamo mettere a disposizione di queste menti geniali tutti i mezzi necessari per proseguire nella loro missione nel modo più efficace possibile. Magari il giorno in cui avremo la cura per tutto è ancora distante, ma l’obiettivo è quello di riuscire a raggiungerlo il prima possibile. Sempre un passo in più del giorno prima.
Per la professione che svolgi, tu incontri moltissimi giovani. Che posto ha nella loro vita la solidarietà, a tuo avviso, e come percepiscono questo valore?
Mutuando una canzone di qualche anno fa, direi proprio che si può dare di più. È anche vero che nella mia carriera, e nella mia vita, ho avuto la fortuna di incontrare ragazzi che operano attivamente per venire incontro ai bisogni degli altri, loro stessi promotori di azioni di solidarietà. Ma questo tipo di sensibilità e di attivismo ancora non coinvolge l’intera popolazione giovanile. Non al 100%. Occorre svolgere un’opera di sensibilizzazione ed è questa la ragione per cui, chi ha la fortuna di fare il mio mestiere, ha il dovere di dare il buon esempio. Se io faccio un post su Instagram su “Andare Lontano” voglio raggiungere tutte quelle persone che mi seguono ma che ancora non sono al corrente della finalità di questa campagna e, in generale, dell’attività di Fondazione Telethon. Quindi non va lasciato nulla di intentato, anche perché c’è terreno fertile, va soltanto coltivato.
“Andare Lontano” riporta alla mente il primo giorno di scuola, che in questo periodo molti bambini stanno vivendo, compresi i piccoli pazienti seguiti da Telethon, anche se con qualche difficoltà in più. Che sensazione ti dà il ricordo dei tuoi primi giorni di scuola?
Mi suscita un’emozione duplice. Ricordo il mio vero e autentico primo giorno di scuola, quello della prima elementare, come un incubo. Sono andato letteralmente nel panico. Però, nel complesso, se vado con la memoria ai tempi della scuola provo anche nostalgia. Tornare a scuola costa sempre un po’ di fatica, è come tornare a lavorare per i più piccoli. Ma alla scuola sono legati molti dei più bei ricordi della nostra esistenza. La scuola accompagna molti passi importanti nella vita, l’inserimento in società o anche quelle amicizie che possono durare una vita.