«Se una malattia genetica bussa alla porta purtroppo non si può evitare di aprire la porta, ma se la malattia trova l’intera famiglia e tanti volontari ad affrontarla allora le forze si moltiplicano». Mara Bisio, 54 anni, impiegata all’agenzia delle Dogane a La Spezia, è coordinatrice della Fondazione Telethon per la città ligure dal 2009.
Come hai iniziato la tua avventura con la Fondazione?
«All’inizio, era il 2007, ho affiancato il coordinamento di Carrara, fino poi ad assumere la responsabilità della mia provincia. Quella che si è immediatamente delineata davanti ai miei occhi era una sfida attraverso un territorio che non sempre si è dimostrato permeabile all’azione di sensibilizzazione. Per questo mi sono prefissata sin da subito una missione, quella di far capire che Telethon non è solo la maratona di dicembre, ma è attività costante, fatta di impegno, ricerca d’eccellenza e sostegno ai pazienti e alle loro famiglie».
Quale “arma” hai utilizzato per far breccia nei tuoi interlocutori?
«Per prima cosa, non sono sola a dedicarmi a questa mandato. Ho cercato nel tempo di creare un gruppo, anche se ancora oggi a La Spezia identificano soprattutto me con la Fondazione. Io per tutti sono Mara Telethon! Per creare fedeltà e fiducia è importante che il messaggio possa incarnarsi nelle persone. Noi siamo un gruppo che si distribuisce presso gli eventi o le iniziative dove contattare i possibili sostenitori o volontari. Collaboriamo con Anffas da molto tempo e non perdiamo l’occasione di presentare la Fondazione».
La barchetta è il simbolo della campagna della Fondazione Telethon #andare lontano che si concluderà fra pochi giorni: rappresenta il coraggio di intraprendere un viaggio per realizzare i propri sogni. Cosa è per te “andare lontano”?
«Io credo fermamente che tutti dobbiamo avere le stesse opportunità e poter vivere la propria esistenza al meglio. Noi abbiamo il compito di tradurre in realtà questo concetto a favore di coloro che sono stati meno fortunati. Ecco, la nostra spinta serve a far andare più distante possibile, nella vita, chi ha ricevuto in sorte un carico di difficoltà maggiore degli altri. Quando invito le persone che partecipano ai nostri eventi a sostenerci insisto sullo stesso principio: nel nostro piccolo ognuno di noi può contribuire a migliorare la vita degli altri, il perimetro dove viviamo insieme, perché poi le malattie rare non sono così “rare” quindi coinvolgono tutti, direttamente e indirettamente».
E la malattia coinvolge sicuramente anche gli affetti più cari dei pazienti...
«Certo. Molti anni fa ho perso un nipote affetto da distrofia muscolare. All’epoca noi non ci rivolgemmo alla Fondazione. Tutta la famiglia fu coinvolta. So perfettamente quanto la vicinanza e il sostegno delle persone care influisca positivamente sull’efficacia delle terapie. Per questo, sentirsi sempre come a casa, anche in ospedale, anche in una città diversa da quella d’origine, significa allontanare le tensioni e le ansie e amplificare gli effetti delle cure. Una consapevolezza che ognuno deve acquisire. Con Telethon si sta sempre più trasformando in realtà con il progetto “Come a casa”, sostenuto proprio dall’iniziativa di crowdfunding “andare lontano” ».